Il viaggio del charango moderno dalla Bolivia al resto del mondo
Gli strumenti a corde diffusi nell’area andina sono caratterizzati da una sorprendente varietà di forme. Viaggiando fra Bolivia, Perù, Argentina e Cile, infatti, si incontrano moltissime varianti dello strumento che chiamiamo genericamente charango e che, a seconda della località, dei costruttori e degli scopi prende via via nomi e caratteristiche diverse.
Ciò generalmente colpisce e disorienta il musicista o lo studioso occidentale, che è abituato ad una ben rigorosa classificazione degli strumenti musicali con cui suona. Chi non si occupa di musicologia di solito concepisce queste varianti come esempi appartenenti a specifiche famiglie dove lo strumento di riferimento è declinato in forme necessarie a coprire l’intera gamma timbrica: pensiamo al violino, alla viola, al violoncello ed al contrabbasso. Il musicologo, invece, sa che la canonizzazione degli strumenti musicali in specifiche famiglie è un risultato molto recente rispetto alla storia evolutiva dei singoli strumenti e che essa non preclude la possibilità di tipi localizzati di uno stesso strumento.
Questo è il caso dei cordofoni tipici della zona andina, in cui osserviamo una varietà particolarmente ampia di varianti del charango. È importante osservare che non si tratta solo di varianti in termini di accordatura (temple), ma di vere e proprie forme costruttive diverse fra loro. Parlando dello strumento nella sua totalità – accordatura e forma esteriore – ci si accorge che la prima e principale suddivisione è quella che contrappone gli strumenti rurali a quelli urbani o moderni. Data la complessità dell’argomento, è meglio trattare altrove le differenze fra charango rurale e charango urbano, e concentrarci ora su quest’ultimo che, del resto, è quello che rappresenta lo strumento moderno ormai diffuso anche oltre il continente sudamericano.
Il charango moderno ha due forme principali che curiosamente sono distribuite in modo molto rigoroso fra Bolivia e Perù, tanto da permetterci di parlare – in termini abbastanza generali – dell’esistenza di un charango boliviano e di un charango peruviano.
Il charango boliviano
In Bolivia il charango possiede la tipica forma a guscio dove la cassa armonica è quasi sempre ricavata da un unico pezzo di legno. Questa, vista frontalmente, ricorda vagamente la sagoma di una chitarra, ma di profilo rivela la propria peculiarità. Nei termini principali la forma del charango boliviano attuale non sembra essere frutto di un’evoluzione acustica, ma piuttosto della maniera di tradurre in legno le forme di uno strumento che più anticamente si costruiva con il carapace dorsale dell’armadillo. La sagoma della cassa armonica e il diapason relativamente corto, con le corde molto tese, producono un effetto timbrico evidente nella musica popolare andina: il charango produce un suono acuto, squillante e inconfondibile, perché il suo spettro è molto sbilanciato verso le frequenze medio alte. Questo timbro si apprezza di più nelle registrazioni precedenti al 2000, quando la dimensione degli strumenti era ancora piuttosto contenuta, tipica di uno strumento funzionale ad accompagnare un canto o una melodia. Col passare degli anni, infatti – complice la grande diffusione su scala mondiale – i charanguisti si stanno orientando verso strumenti sempre più in grado di rispondere a esigenze solistiche e virtuosistiche. I liutai, di conseguenza, soddisfano questi requisiti costruendo casse armoniche più ampie e rotonde e allungando il diapason – che ormai può anche raggiungere i 40 centimetri di lunghezza. Tipica della musica boliviana è la tecnica del repique, rappresentata dalla rapida esecuzione di un gruppo di tre, quattro o cinque movimenti della mano destra sulla posizione di un accordo, o del rasgueo – cioè il movimento “raschiato” che il charango sembra in qualche modo condividere con la chitarra flamenca. Il repique conferisce al ritmo un movimento molto sostenuto e permette di produrre il tipico incedere che caratterizza il huayno, il principale ritmo dell’area andina e sub-andina.
Se siete interessati ad una panoramica delle tecniche e delle impostazioni di base per suonare il charango, potete leggere questa guida.
Un buon esempio del suono del charango boliviano è contenuto in questo brano, un classico di Ernesto Cavour – a proposito, non perdetevi la nostra intervista a questo grande maestro – intitolato Leño Verde:
Il charango peruviano
Il charango peruviano differisce dallo strumento boliviano per una importante caratteristica: la sua cassa armonica è costruita per laminazione, cioè attraverso la piegatura di fasce di legno lungo una dima. Questa forma ricorda sia in prospetto che di profilo la sagoma della chitarra o meglio dell’ukulele. Inoltre la tavola armonica è più grande, così come leggermente più grandi sono le proporzioni del diapason in generale. Questa diversa struttura conferisce al charango peruviano un suono nettamente distinto rispetto al suo fratello boliviano. Il suono risulta più dolce e bilanciato nel tono, ma complessivamente meno penetrante: è il motivo per cui il repertorio peruviano è contraddistinto da uno stile in cui dominano gli orpelli e gli abbellimenti. Fra tutti, a caratterizzare i brani peruviani sono delle particolari forme di trillo che solitamente coinvolgono la prima e la quarta corda. Lo stile peruviano è caratterizzato dalla dominanza del punteo, cioè dello stile pizzicato delle singole corde. Il rasgueo, se presente, è meno potente di quello che si apprezza nel repertorio boliviano: a mancare è soprattutto il golpe – il colpo – tipico dell’attacco delle dita sulle corde del charango boliviano. È anche curioso notare come il repique viene elaborato nel repertorio peruviano, che lo rende un espediente melodico non solamente armonico.
Quello che segue è un brano tradizionale della zona di Ayacucho, situato nell’altopiano peruviano:
Nelle altre regioni andine è invece largamente diffuso il modello del charango boliviano, che durante gli anni ‘60 e ‘70 del Novecento era praticamente l’unico in circolazione. Gli assi di diffusione sono stati essenzialmente due: quello verso il Cile, grazie al lavoro di Violeta Parra durante la fine degli anni ’60; e quello verso l’Argentina, con il trasferimento di Mauro Nuñez a Buenos Aires negli anni ’50.
È risaputo che grandi charanguisti cileni e argentini, come Horacio Durán e Jaime Torres, suonavano con strumenti costruiti in Bolivia da eccellenti artigiani – Horacio Durán amava suonare con un charango di Isaac Rivas, che è stato probabilmente il primo grande liutaio moderno del charango.